L’uso massiccio di DPI, dispositivi di protezione individuali, cresciuto a dismisura negli ultimi due anni a causa della pandemia da Sars-Cov 19, ha aperto scenari nuovi e inaspettati relativamente alla raccolta e allo smaltimento delle mascherine e dei guanti monouso usati. Vista la peculiarità di questo tipo di rifiuti, che sonoprevalentemente oggetti usati per prevenire contagi e, quindi, una volta utilizzati, probabilmente patogeni, si è reso necessario l’intervento dell’ISS, Istituto Superiore di Sanità, il quale ha indicato che questi tipi di rifiuti vanno conferiti nella frazione indifferenziata, seppure raccolta in contenitori dedicati, quando si ha la necessità di disfarsene in un luogo pubblico o di lavoro. Per quanto riguarda le utenze domestiche, invece ha previsto modalità differenti per il conferimento a seconda che i presidi siano stati utilizzati da persone positive o sottoposta a quarantena, o meno, consigliando ai primi di metterli in un sacchetto ben chiuso prima di gettarli. Tuttavia, i numeri a cui ci troviamo di fronte sono davvero impressionanti, quasi inimmaginabili. Nell’ordine di miliardi. Centinaia di milioni ogni ora. Solo in Italia, secondo una stima del Politecnico di Torino, poco meno di un miliardo al mese. Cifre troppo alte per permettere uno smaltimento che segua il percorso normale. Ma la questione è più complessa perché va oltre la quantità e la diffusione di questi DPI che per loro natura, monouso e a rischio infezione, sono difficili da gestire e da trattare quasi alla stregua di rifiuti pericolosi. Tutte queste considerazioni impongono di trovare una soluzione efficace e efficiente per risolvere un problema, che ci potrebbe presentare a breve un salato conto da pagare. Se l’iniziale idea di provare a sterilizzarli, seppur nobile, non ha trovato riscontro perché complicatissima da mettere in pratica, una soluzione più efficace potrebbe venire dall’economia circolare. Il percorso del riciclo delle mascherine è complesso, ma sembra l’unica strada per evitare un vero e proprio disastro ecologico. In varie parti del mondo, dalla Francia all’Australia (dove si sta studiando la possibilità di produrre mascherine con materiali biodegradabili), stanno fiorendo start up per dare una nuova e sicura vita, a rifiuti che, come detto sopra, vanno trattati alla stregua di rifiuti pericolosi. Il problema si risolverà con la fine della pandemia, ma resterà l’incognita della fine che dovranno fare i miliardi di miliardi di mascherine che oggi sono rifiuti. Una soluzione potrebbe essere trovata nel riciclo i cui principi potrebbero portare a evitare la dispersione incontrollata nell’ambiente di rifiuti potenzialmente pericolosi dal punto di vista epidemiologico, oltre a tutti i pproblemi che rifiuti difficilmente degradabili possono produrre a piante e animali. Speriamo di non ritrovarci nel prossimo futuro di fronte ad una nuova isola, questa volta non di plastica e microplastica, ma di mascherine e guanti monouso.
24 aprile 2021
Alberto Aversano